- 16 Dicembre 2020
- Posted by: Luisella D'Alessandro
- Categories: Energia, News
Le ultime previsioni sull’economia italiana vanno lette considerando che ci troviamo nel pieno della seconda ondata di contagi ma, l’incertezza conseguente alla situazione sanitaria, viene almeno mitigata dalle aspettative sulla disponibilità di uno o più vaccini.
L’ISTAT ha recentemente indicato per il 2020 una contrazione del PIL dell’8,9%, seguita da una ripresa parziale nel 2021 (+4,0%), mentre lo scorso 1° dicembre, le stime dell’Ocse hanno indicato per quest’anno una recessione del 9,1% e nel 2021 una ripresa del 4,3%. In generale queste stime di inizio dicembre migliorano quelle di un mese fa della Commissione europea.
Secondo l’Ocse, nel 2021 il PIL della Spagna sarà al di sotto del 7,2% rispetto al livello del 2019, quello dell’Italia sarà inferiore del 5,2%; si osserva un recupero più consistente, anche se ancora parziale, per Francia (-3,6%) e Germania (-2,6%).
A novembre, complice anche il “lockdown” e le conseguenti limitazioni in funzione del grado di rischio differenziato per territorio, secondo il 9° report Covid-19 dell’Ufficio Studi di Confartigianato risulta in forte calo la fiducia delle imprese e, per quanto concerne gli indicatori di mobilità forniti da Google, da fine ottobre si registra un peggiornamento del calo degli spostamenti rispetto ad un giorno normale pre-pandemia, con un recupero che si avvia a partire dal 20 di novembre.
È facile immaginare che, la crisi dovuta alla diffusione del virus, genererà pesanti conseguenze sui conti pubblici: il deficit salirà di 147,5 miliardi di euro, passando da 1,6 a 10,8 punti di PIL, livello mai toccato dalla fine degli anni Ottanta, con effetti straordinari sul debito pubblico.
Se vogliamo accelerare la crescita economica, dobbiamo puntare a un livello di tassazione in grado di garantire la competitività delle imprese. A tal proposito, l’analisi delle previsioni della Commissione europea evidenzia che nel 2020 in Italia sale la pressione fiscale mentre in Eurozona si registra una diminuzione, portando a 1,6 punti di PIL lo spread fiscale, dopo che nel 2018 si era quasi completamente riassorbito il gap esploso nel 2012 a seguito della crisi del debito sovrano. Un divario spiegato in gran parte dalla tassazione energetica pari, in Italia, nel 2019, al 2,7% del PIL a fronte dell’1,8% della media Eurozona, con un divario che vale 14.743 milioni di extra gettito. La tassazione energetica nel nostro Paese supera di 0,8 punti quella della Francia (1,9% PIL) ed è quasi doppia rispetto a quella di Spagna e Germania (1,5% PIL).
Ad aggravare il prelievo sulle imprese hanno contribuito anche i 3,4 miliardi di euro di addizionali provinciali dichiarati in contrasto con la disciplina europea per le annualità 2010 e 2011 e che Confartigianato, insieme alle altre associazioni, chiede di recuperare. Questo improprio extra gettito ha certamente spiazzato gli investimenti e penalizzato la creazione di valore delle imprese, proprio dopo il 2009, anno in cui il PIL segnò una perdita del 5,3%. Non si tratta, certo, di un buon esempio di politiche per l’accelerazione della crescita.