- 3 Settembre 2015
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Legittimi i controlli fiscali frutto del trafugamento da parte di un funzionario della banca in violazione del segreto bancario: la sentenza della Cassazione.
Ai fini dei controlli fiscali effettuati dall’Amministrazione finanziaria, possono essere utilizzati anche i dati bancari trafugati dal dipendente di una banca residente all’estero, in violazione del segreto bancario, e ottenuti dal Fisco italiano grazie agli strumenti di cooperazione comunitaria. In sostanza il Fisco, per un avviso di accertamento, può avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche unico, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una specifica disposizione della legge tributaria o dal fatto di essere stati acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale.
A precisarlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16950/2015, che fa seguito alle ordinanze n. 8605/2015 e n. 8606/2015:
“L’amministrazione finanziaria, nell’attività di contrasto e accertamento dell’evasione fiscale può, in linea di principio, avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche unico, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una specifica disposizione della legge tributaria o dal fatto di essere stati acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Sono perciò utilizzabili nell’accertamento e nel contenzioso con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente di una banca residente all’estero e ottenuti dal fisco italiano mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria, senza che assuma rilievo l’eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la violazione dei doveri di fedeltà verso l’istituto datore di lavoro e di riservatezza dei dati bancari, che non godono di copertura costituzionale e di tutela legale nei confronti del fisco medesimo. Spetta al giudice di merito, in caso di rilievi avanzati dall’amministrazione, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro delle contestazioni mosse dal contribuente”.
Il caso in esame riguardava alcune imposte e sanzioni collegate a disponibilità finanziarie detenute all’estero dall’Agenzia delle Entrate, in merito alle quali il contribuente aveva presentato appello alla Ctr di Bolzano, trovando accoglimento. Il motivo è che i giudici aveva ritenuto violato dal Fisco l’articolo 191 del codice di procedura penale, che prevede un generale divieto di utilizzo processuale di prove acquisite in violazione di legge. L’Agenzia aveva quindi proposto ricorso per Cassazio, per violazione degli articoli 37 e 41 del Dpr 600/1973 e dell’articolo 191 del cpp. La Cassazione ha quindi accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate:
- i dati provenienti da un’autorità straniera sono legittimi sulla base della direttiva77/799/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte;
- la direttiva prevede lo scambio di qualsiasi informazione che appaia utile ad un corretto accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio nei diversi Stati membri. L’art. 1, n.1, della direttiva dispone, infatti, che le competenti autorità degli Stati membri scambiano ogni informazione atta a permettere un corretto accertamento delle imposte;
- l’art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva obbliga l’autorità competente di uno Stato membro a comunicare, senza previa domanda, all’autorità competente di qualsiasi altro Stato membro le informazioni atte a consentire il corretto accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio, qualora abbia motivbdi presumere che esistano una riduzione o un esonero anormali d’imposta in tale altro Stato membro;
- il segreto bancario non limita in alcun modo la cooperazione informativa, non imponendo l’articolo 8 della direttiva l’obbligo di trasmettere informazioni quando la legislazione non autorizzi l’autorità competente dello Stato, che dovrebbe fornire le informazioni, a raccogliere o a utilizzare queste notizie e quando porterebbe a divulgare un segreto commerciale, industriale o professionale o un processo commerciale, o un’informazione la cui divulgazione contrasti con l’ordine pubblico.
Inoltre la Corte di Cassazione ha fatto presente l’autonomia che esiste tra il procedimento penale e quello tributario: “Contenzioso tributario e processo penale si muovono necessariamente lungo binari separati (art. 654 cod. proc. pen.), vigendo un regime probatorio diverso (art. 7, comma 4, proc. trib.) e valendo peculiari regole riguardo alla prova per presunzioni dei fatti giuridici (conf. ex multis Cass. 4924/2013), consentita anche “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’Ufficio” (es. art. 55 del decreto IVA)”.
Fonte: Corte di Cassazione – sentenza 16950/2015