Il Consiglio di Stato interviene su demolizione opere abusive e pertinenze

La sentenza n. 187/2021 emessa di recente dal Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato da due proprietari di terreno agricolo contro l’amministrazione comunale. A loro era stato intimato di demolire alcune opere ubicate su tale area e ritenute abusive. Valutando il provvedimento sanzionatorio illegittimo, gli appellanti lo hanno impugnato con ricorso al T.A.R. che, tuttavia, lo ha respinto.  Da qui il ricorso al Consiglio di Stato, contestando l’erronea valutazione delle opere abusive che avrebbero natura pertinenziale, ovvero costituirebbero volumi tecnici, oltre al difetto di motivazione della sentenza e alla mancata comunicazione di avvio del procedimento. 

Il CdS, rilevando che l’ordine di demolizione è un atto “di natura doverosa e vincolata”, ha chiarito che non richiede particolare motivazione, essendo sufficiente che il medesimo descriva quali sono le opere oggetto di contestazione, per consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente. 

Inoltre, il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera abusiva non è idoneo a radicare in capo al privato interessato alcun legittimo affidamento in ordine alla conservazione di una situazione di fatto illecita, per cui, anche in tal caso, l’ordine di demolizione assume carattere doveroso e vincolato e la sua emanazione non richiede alcuna motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell’abuso. I provvedimenti aventi natura vincolata, come l’ordinanza di demolizione, non necessitano di previa comunicazione di avvio del procedimento, in quanto non è consentito all’Amministrazione compiere valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene. 

Infine, per quanto concerne la natura pertinenziale delle opere abusive, il Consiglio di Stato sottolinea che la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista “un oggettivo nesso tra bene accessorio e principale che non consenta altro che la destinazione del primo a un uso servente durevole e quest’ultimo abbia, inoltre, dimensioni ridotte e modeste rispetto a quelle dell’edificio a cui inerisce”. Contrariamente a quanto avviene per le pertinenze di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta ulteriore “carico urbanistico” proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale col fabbricato principale. Invece, il volume tecnico riguarda un‘opera di limitata consistenza volumetrica priva di autonomia funzionale, anche solo potenziale, destinata a contenere esclusivamente impianti essenziali atti ad assolvere le esigenze tecnico funzionali dell’edificio cui accedono. 

Considerate quindi dimensioni, volumetrie, materiali da costruzione utilizzati e autonomia funzionale, è evidente secondo il Consiglio di Stato che nessuna delle due opere oggetto di contestazione ha natura pertinenziale o costituisce volume tecnico. L’appello è stato dunque respinto.