- 4 Giugno 2015
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Legittimità, requisiti, impugnazione del trasferimento (individuale o collettivo) del lavoratore.
Secondo la Giurisprudenza, il trasferimento del lavoratore consiste in uno spostamento definitivo e senza limiti di durata (Cass. civi. 23 aprile 1985, n. 2681). Lo Statuto dei lavoratori ne contempla l’ipotesi per lavoratori e dirigenti della RSA (Rappresentanze sindacali aziendali) e componenti delle RSU (Rappresentanza sindacale unitaria), ma non dà alcuna definizione dell’istituto. La contrattazione collettiva integra la disciplina legale sotto diversi aspetti: il trasferimento può riguardare il singolo lavoratore (trasferimento individuale) ed essere disposto su iniziativa del datore di lavoro (unilateralmente o previo consenso del dipendente espresso nel contratto individuale) o su esplicita richiesta del lavoratore stesso; può, infine, riguardare più lavoratori (trasferimento collettivo).
Trasferimento individuale
Tra le diverse ipotesi, il trasferimento individuale su iniziativa del datore di lavoro è quella più frequente in quanto egli ha ampia discrezionalità nel decidere unilateralmente i trasferimenti individuali. La contrattazione collettiva può prevedere che il trasferimento sia preceduto da un periodo di preavviso.
Requisiti e legittimità
I trasferimenti devono essere motivati da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e avvenire obbligatoriamente da unità produttiva ad unità produttiva nell’ambito della stessa azienda, intendendo con questo termine l’entità aziendale (anche articolata in organismi minori e non ubicati nel medesimo Comune) si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa. Dunque, il trasferimento non può avvenire presso stabilimenti, uffici o reparti della stessa azienda che però non siano autonomi ma deve essere destinata a scopi strumentali o ausiliari.
La legittimità del trasferimento si limita all’accertamento della sussistenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, mentre è insindacabile la scelta del datore di lavoro tra le diverse soluzioni organizzative adottabili. La Giurisprudenza individua ulteriori limiti rispetto a quelli legali: i motivi di trasferimento devono sussistere al momento in cui viene deciso (non dopo); le ragioni del trasferimento devono essere oggettive (non valgono, ad esempio, le scelte fatte come sanzioni disciplinari) a meno che la condotta del lavoratore non corrobori le ragioni tecniche, organizzative e produttive che convalidano il trasferimento (ad esempio, per incompatibilità con i colleghi che causa un danno produttivo e/o organizzativo); deve sussistere un rapporto di causalità tra ragioni organizzative e lavoratore trasferito; il trasferimento deve essere finalizzato al miglior funzionamento dell’azienda e legata alle particolari attitudini del lavoratore a ricoprire il nuovo posto di lavoro. Anche la contrattazione collettiva può stabilire ulteriori limitazioni al potere del datore di lavoro di disporre i trasferimenti e possono riguardare tutti i dipendenti o solo alcune categorie. Ad esempio, sono legittimi i trasferimenti causati dall’apertura di una nuova filiale, da esigenze di incremento di organico nel luogo di destinazione e dall’esigenza di chiusura di reparti, mentre sono illegittimi i trasferimenti ad un posto di lavoro in cui la posizione del lavoratore è indeterminata e superflua e per temporaneo aumento di attività. Inoltre, se un C.C.N.L. subordina la legittimità di un trasferimento anche alla valutazione delle esigenze familiari del lavoratore, tale disposizione costituisce garanzia di cui il datore di lavoro deve tener conto.
Fonte: PMI