- 14 Dicembre 2020
- Posted by: Luisella D'Alessandro
- Categories: Edilizia, News
Entro lo scorso 10 marzo, l’Italia e altri Paesi della Comunità Europea, avrebbero dovuto dotarsi di nuove regole per l’efficienza e le prestazioni energetiche degli edifici, presentando alla Commissione UE le strategie nazionali di ristrutturazione a lungo termine.
Il nostro Paese, però, non ha provveduto a muoversi in tal senso, incorrendo in una situazione di morosità, insieme a Belgio, Bulgaria, Croazia, Grecia, Ungheria, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Romania, oltre al Regno Unito, per non aver presentato la le loro strategie.
Le strategie di ristrutturazione a lungo termine costituiscono un elemento chiave della direttiva, che stabilisce il percorso, le misure politiche e la mobilitazione finanziaria necessarie al fine di ottenere un parco immobiliare decarbonizzato e ad alta efficienza energetica entro il 2050, facilitando la trasformazione efficace in termini di costi degli edifici esistenti in edifici a energia quasi zero.
Le strategie di ristrutturazione a lungo termine devono includere:
a) una rassegna del parco immobiliare nazionale fondata su campionamenti statistici e sulla prevista percentuale di edifici ristrutturati nel 2020;
b) l’individuazione di approcci alla ristrutturazione efficace in termini di costi, in base al tipo di edificio e alla zona climatica, tenendo conto, se possibile, delle potenziali soglie di intervento pertinenti nel ciclo di vita degli edifici;
c) politiche e azioni volte a stimolare ristrutturazioni degli edifici profonde ed efficaci in termini di costi, comprese le ristrutturazioni profonde ottenibili per fasi successive e a sostenere misure e ristrutturazioni mirate ed efficaci in termini di costi, ad esempio attraverso l’introduzione di un sistema facoltativo di “passaporto” di ristrutturazione degli edifici;
d) una rassegna delle politiche e delle azioni rivolte ai segmenti del parco immobiliare nazionale caratterizzati dalle prestazioni peggiori, ai problemi derivanti dalla frammentazione degli incentivi e ai fallimenti del mercato, nonché una panoramica delle pertinenti azioni nazionali che contribuiscono ad alleviare la povertà energetica;
e) politiche e azioni rivolte a tutti gli edifici pubblici;
f) una rassegna delle iniziative nazionali volte a promuovere le tecnologie intelligenti ed edifici e comunità interconnessi, nonché le competenze e la formazione nei settori edile e dell’efficienza energetica;
g) una stima affidabile del risparmio energetico atteso, nonché dei benefici in senso lato, come quelli connessi alla salute, alla sicurezza e alla qualità dell’aria.
La Commissione spiega, attraverso un comunicato, che si tratta di un aspetto davvero importante dal momento che, il settore edilizio dell’UE è il principale consumatore di energia in Europa, responsabile del 36% delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dall’energia in UE. La direttiva, ad oggi, risulta essere stata accolta e applicata solo da 14 Stati.
In Italia la direttiva del 2010 è stata recepita con il DL 63/2013 e ad essa si deve l’introduzione del concetto di «edificio a energia quasi zero», che prevede un fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo e che dovrebbe essere coperto in misura molto significativa da energia da fonti rinnovabili. La direttiva impone a tutti gli Stati Membri che entro il 31 dicembre 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione siano ‘a energia quasi zero’ (per gli edifici pubblici era entro 31 dicembre 2018).
Precisiamo, infine, che la messa in mora riguarda solo la strategia nazionale di ristrutturazione a lungo termine del parco immobiliare esistente, considerando che, a giugno scorso, l’Italia ha emanato il Dlgs 48/2020 che recepisce la Direttiva 2018/844/UE sull’efficienza energetica in edilizia, direttiva che ha modificato la 2010/31/UE.