Licenziamento per assenze: quando è legittimo?

congedoLegittimo il licenziamento del lavoratore che collega assenze e riposi anche senza superare il periodo di comporto: sentenza della Cassazione.

La Corte di Cassazione (sentenza n. 18678 del 4 settembre 2014) ha affrontato il caso del licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore che collegava le proprie assenze al giorno di riposo o al turno di notte, recando un grave danno all’organizzazione della propria azienda e alla pianificazione delle attività.

Il caso
Il lavoratore licenziato a causa delle sue assenze “strategiche” ha presentato ricorso, ma i giudici di primo e secondo grado hanno dato ragione al datore di lavoro sottolineando come le reiterate assenze “a macchia di leopardo”, comunicate senza preavviso, anche se non superavano il periodo di comporto provocavano: «una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile da parte della società, risultando la stessa inadeguata sotto il profilo produttivo, e pregiudizievole per l’organizzazione aziendale.»

Ricorso in Cassazione
Anche la Corte di Cassazione ha rigettato l’ennesimo ricorso presentato dal dipendente, il quale basava la propria difesa sul mancato superamento del periodo di comporto (fattore che avrebbe legittimato il licenziamento), precisando che il datore di lavoro non aveva dimostrato: «che le assenze avessero causato problemi all’organizzazione produttiva, pur gravando sulla stessa [la società] il relativo onere, tenuto conto, altresì, che la medesima società era organizzata in modo da poter sostituire senza difficoltà un lavoratore per improvvisa malattia, tanto che le assenze del ricorrente, come risultava dalla prova per testi non avevano bloccato la produzione.»

Normativa
La Cassazione ha ricordato che il recesso promosso dal datore di lavoro per assenze dovute a malattia è normato dall’art. 2110 c.c., che prevale sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali (il datore di lavoro non può recedere dal rapporto prima del superamento del limite di tollerabilità dell’assenza – periodo di comporto).

Nella fattispecie in analisi, però, tale giurisprudenza non può trovare applicazione perché le assenze del lavoratore dovute a malattia avvenivano per un numero esiguo di giorni, due o tre, reiterate anche all’interno dello stesso mese, e costantemente “agganciate” ai giorni di riposo (n. 520 ore nel 1999, n. 232 nel 2000, n. 168 nel 2001, n. 368 nel 2002, n. 248 nel 2003), provocando una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile dalla società.

Licenziamento per giustificato motivo
La Corte, richiamando l’art. 3 della legge n. 604 del 1966, ha ricordato che: «il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.»

Secondo la legge (Cassazione, n. 3876 del 2006), inoltre, è legittimo il licenziamento per scarso rendimento qualora sia provata una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – e a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento.

Sentenza definitiva
La Corte di Cassazione, anche avvalendosi delle prove testimoniali di alcuni colleghi, ha appurato che le assenze comunicate all’ultimo momento determinavano la difficoltà di trovare un sostituto e ricadevano sulle esigenze di organizzazione dell’azienda dando luogo a scompensi organizzativi, pertanto le doglianze del lavoratore circa la non irrogabilità del licenziamento in presenza di assenze per malattia che non superino il periodo di comporto non avevano fondamento.

Fonte: PMI